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Il valore del cliente

30 September 2007
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Il cliente è un elemento appartenente e integrato all’azienda tanto quanto lo sono le strutture o le scorte piuttosto che altri fattori produttivi.
È possibile considerare il cliente come una delle diverse attività immateriali di cui l’azienda dispone e utilizzando un termine anglosassone, ormai abitualmente usato, è possibile affermare che il cliente è un asset aziendale.
Ma a differenza di quanto accede con le macchine e con le infrastrutture, il cliente gode di una sua indipendenza di una sua autonomia e pertanto appartiene all’azienda fin tanto quanto quest’ultima è in grado di trattenerlo, di mantenerlo, di soddisfare i suoi bisogni.
Analogamente, invece, a quanto accade con gli asset tangibili (macchinari, strutture e scorte) anche il cliente ha una sua obsolescenza che richiede quindi un equilibrio fra chi esce e chi entra. Questo per mantenere inalterato, perlomeno sotto il profilo quantitativo, il numero di clienti attivi a disposizione.
Rifacendomi ad un noto grafico dell’economista americano Abell, introducendo qualche leggera modifica, il portofolio clienti di qualsiasi azienda potrebbe essere rappresentato come nella tavola 1.
Ogni azienda soddisfa un discreto numero di consumatori che possono essere suddivisi in segmenti, dove ogni segmento raggruppa una serie di clienti che rispondono allo stesso modello di consumo. Poiché il mercato è dinamico nell’operare richiede che si ricerchi un corretto equilibrio fra la perdita di consumatori noti e l’acquisizione di nuovi. È inoltre palese affermare che i clienti acquisiti difficilmente soddisfano tutti i bisogni in un solo punto di vendita e poiché non tutte le necessità dei consumatori sono soddisfatte, la quota di bisogni che si riesce a coprire rappresenta la quota di penetrazione nel portafoglio del cliente, la cosiddetta customer share che può essere più o meno elevata così come la market share, che rappresenta invece la quota di clienti serviti appartenenti all’area di attrazione, che si identifica con la quota di mercato.
Per crescere o si aumenta la prima o la seconda. O si soddisfano più bisogni e si conquistano più clienti.
Il parallelepipedo disegnato nella tavola 1 evidenzia le tre vie di crescita:
  • aumentare i clienti;

  • soddisfare più bisogni;

  • crescere attraverso la diversificazione, ossia uscendo dai canoni del core business.

In quest’ultima modalità ci si introduce in un’area che spesso disorienta però il consumatore e genera dei formati ibridi poco comprensibili.
Ma ogni iniziativa che vada nell’una o nell’altra direzione spesso non copre l’esigenza primaria e forse più semplice: cercare di mantenete i clienti acquisiti.
È importante capire:
  • quali bisogni si soddisfano;

  • quali sono invece i bisogni che i clienti vanno a soddisfare altrove;

  • perché molti dei clienti presenti nell’area di attrazione preferiscano fare acquisti pertinenti con le aree merceologiche che presidiamo altrove, presso punti vendita concorrenti oppure, ancora peggio, anche in altri canali.

Ciò che ogni azienda dovrebbe fare è analizzare e cercare di comprendere il valore del cliente e di norma è possibile fare questo mediante tre differenti interventi:
  • calcolando il Life Time Value (LTV), il valore del cliente nel tempo che in altre parole significa stimare con accuratezza quanto quel cliente, appartenente a qual tal segmento di clienti più o meno come lui, spenderà nei prossimi anni;

  • misurando l’analisi di concentrazione;

  • applicando un modello RFM (da Recency, Frequency, Monetary) ossia una metodologia che permetta costruire un database che ci dica quanto è passato dall’ultima visita, quanto ha speso e con che frequenza media il cliente ritorna.


Le tessere fedeltà: come usarle?


Il problema è che la maggior parte delle metodologie utilizzate nei programmi fedeltà, supportate da programmi relazionali di fidelizzazione, non producono i risultati desiderati, in quanto non sono progettati e strutturati in maniera da indurre miglioramenti nei comportamenti di acquisto dei clienti. Spesso, infatti, finiscono col risultare poco profittevoli premiando soprattutto i clienti già fedeli, ovvero quelli che comunque avrebbero acquistato. In altre parole questo sta a significare che non ha senso fidelizzare dei clienti che esprimono, in proiezione, nel tempo, un basso valore potenziale, o clienti che acquistano prodotti banali o commodities proposte anche da altri canali che invece che sul valore lavorano sul prezzo. L'inefficienza di tali programmi è il più delle volte determinata dal fatto che si allocano troppe risorse sui clienti sbagliati, anziché sui clienti migliori, quelli cioè che determinano la profittabilità dell'azienda.
L'errore in cui si incorre è il considerare i clienti tutti uguali trattandoli in modo indifferenziato. Da qui l'importanza di effettuare analisi appropriate per identificare segmenti di clientela in base al loro valore.
Dove collocare il cliente? Quale strategia per ciascun quadrante?
Che cose ne facciamo di un cliente cha genera un basso fatturato su categorie merceologiche dal margine irrisorio? Che ruolo potrebbe avere nella strategia e nella crescita? È il caso di investirci sopra? Lo fidelizziamo?

Queste logiche vanno ben oltre la semplice tessera fedeltà che è uno strumento costoso e fine a se stesso senza una più ampia analisi e metodologia di lavoro. Potremmo pensare che non sia importante iniziare un percorso in questa direzione, perché ovviamente costa e perché si potrebbe supporre che, nonostante tutto, la competitività del mercato non è così temibile ai fini del mantenimento del cliente. Ciascuno si potrebbe mettere sul podio, ovviamente sul gradino più alto e con orgoglio, dopo aver dato uno sguardo superficiale a ciò che sta intorno affermare: “chi altri oltre a me?”
Le cose non stanno così e via via si faranno più complesse: condizione che obbliga a pensare seriamente di iniziare ad attivare modelli di indagine un poco meno rozzi e più allineati alle vere esigenze strategiche di crescita dell’azienda.

Misurare le performance dei clienti


Per prima cosa bisogna dotarsi di indicatori che permettano di valutare la performance del cliente, che poi verranno integrati in un modello di facile lettura come per esempio:
  • i costi di acquisizione del cliente;

  • i costi delle azioni di marketing e di comunicazione;

  • il fatturato per unità e segmento;

  • la contribuzione marginale per singolo segmento;

  • percentuale di clienti mantenuti anno per anno;

  • il turn over se fisiologico o meno.


Sono diverse le analisi fondamentali sul valore del cliente nel tempo (LTV) che si possono attuare per identificare e comprendere la consistenza e la “qualità” della propria clientela. Attraverso le analisi si riesce poi a capire come agire per aumentare, per esempio quello che tecnicamente viene definito il referral rate ossia il passaparola oppure altre variabili pertinenti.
Ma il miglior modo per massimizzare il valore del portfolio clienti risponde a tre semplici regole di base:
  1. guadagnare la fedeltà dei clienti più profittevoli offrendo loro un valore superiore;

  2. dal momento che i "consumatori non sono tutti uguali", in altre parole presentano differenti atteggiamenti durante il processo di acquisto, tenere bene a mente che non vanno gestiti in egual misura;

  3. effettuare un’analisi specifica per segmenti di clientela in modo da poter ideare differenti programmi per ciascun gruppo di clienti che presentino un diverso LTV e valutarne il differente contributo in termini di crescita di valore per l'azienda.


La metodologia si applica sia al dettagliante che all’industria. Cambia il posto nella filiera e un poco il metodo, ma i concetti (anche i problemi) rimangono e sono quasi gli stessi.