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Il retail nella rete: tra multicanalità e showrooming quali azioni adottare?

15 January 2013
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L’era industriale è finita e siamo entrati nell’era digitale: tutti dobbiamo adattarci a questa “nuova normalità”. L’e-commerce è sempre esistito (da metà degli anni Novanta in Italia) e lo sanno bene le agenzie viaggi e le assicurazioni: ma l’avvento dei device mobili (smarphone e tablet) ci ha portati in una nuova dimensione.
Cerchiamo di capire meglio le dimensioni del fenomeno: a livello mondiale negli ultimi 4 anni - dal 2008 al 2012 - gli utenti internet sono quasi raddoppiati passando da 1,5 a 2,3 miliardi; gli utenti Facebook sono passati da 130 milioni a 1 miliardo, cioè da meno del 10% della popolazione digitale a oltre il 40%; i video caricati su Youtube sono passati da 10 a 72 ore (circa 3 miliardi di ore ogni mese) e i tweet – la novità 2012 in Italia – sono passati da 300 mila a 400 milioni; nel 2008 tra le prime 100 imprese mondiali solo 38 investivano online, mentre oggi lo fanno tutte e l’investimento medio è triplicato. Tassi di crescita impressionanti e in costante aumento.
La rivoluzione digitale sta diventando un elemento determinante per la comunicazione ma anche per la vendita. Il consumatore è sempre più informato grazie a internet (siti, social, consigli dei pari/peer, ecc.) e in questo modo comprime il processo d’acquisto. Il Fmot (dall'inglese First Moment of Truth), cioè la parola coniata da Procter & Gamble per descrivere il momento in cui il consumatore entra nel negozio e sceglie il suo acquisto (elaborando informazioni come i packaging, l'esposizione, il prezzo, ecc.), sta per essere sostituito dallo Zmot, cioè Zero Moment of Truth: il consumatore si informa nella rete e riduce il momento dell'acquisto perché entra nel negozio già informato. Tanto più efficace sarà la comunicazione e tanto minore sarà il momento d’acquisto.
Una strada evolutiva che comporta una maggiore sinergia tra comunicazione e canale: una grande chance per i retailer specializzati ma anche un fattore di complessità non indifferente.

Italiani, popolo di poeti e navigatori

Per capire gli effetti della rivoluzione digitale sul retail, è interessante osservare ciò che sta succedendo negli Usa. Non perché gli statunitensi siano più “avanti” rispetto agli italiani, ma semplicemente per il naturale sviluppo della tecnologia: i tablet sono arrivati sul mercato italiano 8 mesi dopo rispetto agli Stati Uniti.
Semmai è vero il contrario e sono proprio gli italiani che hanno un “debole” per le nuove tecnologie: in Italia la penetrazione degli smartphone ha superato il 50% ed è maggiore a quella Usa. I tablet sono al 5% ma è un enormità considerando che nel 2010 erano il 2,3%.
Come abbiamo scritto in apertura, è l’avvento dei device mobili il vero driver del cambiamento: mentre fino a due anni fa la consultazione di internet era “relegata” agli uffici e alle case, oggi la rete è nelle nostre mani in qualsiasi momento della nostra vita. Anche quando siamo davanti a uno scaffale o dobbiamo informarci per effettuare un acquisto.

La multicanalità in Italia

Per aiutarci a comprendere meglio il fenomeno, dal 2007 Nielsen, Connexia e il Mip del Politecnico di Milano intervistano le famiglie italiane nell’Osservatorio Multicanalità, con l’obiettivo di monitorare l’evoluzione del consumatore multicanale e il ruolo di internet e della tecnologia nelle dinamiche di acquisto.
Lo scorso 14 dicembre è stato presentato l’aggiornamento 2012 dal quale emerge che gli italiani sono sempre più multicanale.
I cluster (cioè le categorie) dei consumatori multicanali (denominati Reloaded e Open Minded dall’Osservatorio Multicanalità) hanno superato il 50% della popolazione:
2007   31%
2008   36%
2009   40%
2010   44%
2011   47%
2012   53%

Si tratta quindi di 28 milioni di italiani coinvolti, di cui ben 10 milioni hanno cambiato il processo d’acquisto in questi ultimi anni.
Ma in che modo i consumatori italiani utilizzano le nuove tecnologie nel processo d’acquisto?
Anzitutto per informarsi su prodotti e servizi (per l’84% degli intervistati è la fonte principale) ma sempre di più per confrontare i prezzi: lo fa il 78% degli utenti internet (era il 74% nel 2010).
L’accesso alla rete avviene nella maggior parte dei casi da un pc fisso (a casa 78% e in ufficio 21%) ma è in grande crescita – considerando che fino a pochi anni fa non era possibile – l’uso in mobilità (17%) e nei punti vendita (17%).
I giudizi espressi dai consumatori online sono molto influenti nelle dinamiche d’acquisto: il 48% ha dichiarato di aver acquistato un prodotto dopo aver letto un giudizio positivo su internet (era il 35% nel 2010) e, soprattutto, il 42% non ha comprato dopo aver letto un giudizio negativo (era il 31% nel 2010).
Un altro tema fondamentale è la crescita dell’e-commerce: il 46% degli utenti internet (cioè 14,4 milioni di italiani) hanno fatto acquisti online negli ultimi 6 mesi del 2012. Dove hanno acquistato? Nel 34% dei casi da un sito del produttore del prodotto/servizio e, da un certo punto di vista, questo dato rappresenta una minaccia per i retailer, poiché si tratta di una disintermediazione, cioè la creazione di un rapporto diretto tra produttore e consumatore finale, tagliando fuori il retail. Al secondo posto, con il 31%, troviamo gli e-store “puri”, mentre i siti dei punti vendita “fisici” si fermano al 15%.
Nel 92% dei casi le transazioni sono avvenuto tramite pc (fisso o portatile), ma è interessante rilevare che i tablet sono il primo device mobile con il 4% e precedono gli smartphone (3%), pur avendo una minore diffusione.
L’ultimo dato che ci sembra interessante rilevare dall’Osservatorio Multicanalità è quello relativo al rapporto tra punto vendita “fisico” e internet: sono in netto aumento i consumatori che vanno nel punto vendita “fisico” a vedere e toccare con mano i prodotti (magari facendoseli spiegare dall'addetto alle vendite), ma poi li comprano online, spesso a un prezzo inferiore. Magari dopo aver consultato con il tablet un sito di confronto prezzi davanti allo scaffale. Oggi sono il 34%, contro il 26% del 2010. Inoltre è in netta diminuzione la tendenza opposta: nel 2010 l’84% degli internet user si informava in rete ma acquistava in negozio, una percentuale che nel 2012 è scesa al 74%.

Attenzione allo “Showrooming”

Il comportamento appena descritto è un fenomeno che il commercio deve iniziare a controllare seriamente; negli Stati Uniti è già oggetto di dibattito e gli hanno anche affibbiato un nome: Showrooming.
Dicasi Showrooming l’attitudine del consumatore a frequentare i “negozi fisici” per vedere e provare i prodotti, ma poi effettuare l’acquisto online cercando risparmiare. Una pratica stimolata dai grandi retailer online (come Amazon per esempio) che hanno creato applicazioni per i device mobili che consentono di confrontare i prezzi in qualsiasi luogo. E non sarà un caso che le vendite di Amazon attraverso il mobile sono quasi triplicate nel 2012 negli Stati Uniti.
Secondo un'analisi condotta a novembre sui dettaglianti Usa, l’80% si aspettava influenze negative sulle vendite natalizie a causa dello Showrooming, pari mediamente al 5% del fatturato (cioè 36 miliardi di dollari). Il 49% si sono dichiarati impreparati e solo il 12% ha avviato delle strategie per combatterlo. Secondo lo stesso studio, lo Showrooming negli Stati Uniti è destinato a crescere del 20% nel 2013 e del 60% entro il 2015.
Si tratta dunque di una scelta vincente per il consumatore, che sfrutta la vendita assistita dei punti vendita e risparmia acquistando online, e una scelta vincente per i siti di e-commerce, che aumentano le vendite approfittando degli “showroom” dei negozi “fisici”. L'anello debole sono i punti vendita “brick and mortar” (“malta e mattoni” come li chiamano negli States), che infatti stanno iniziando a reagire.
La catena Target sta tentando di combattere lo Showrooming imponendo ai propri fornitori dei prodotti esclusivi per i loro negozi, che non possono essere trovati altrove; inoltre ha quadruplicato il numero di referenze disponibili online e ha iniziato a inviare coupon direttamente sui cellulari dei clienti.
Best Buy ha utilizzato dei Blocking barcodes, cioè codici a barre che non permettono la lettura da parte delle applicazioni degli smartphone: una scelta molto pericolosa perché arreca un danno ai clienti e inutile, perché la tecnologia corre e ben presto troveranno il modo di superare questo ostacolo.
Walmart, dopo aver tentato vanamente di convincere i clienti a non portare lo smartphone nel punto vendita, ha applicato la tecnica del PriceMachting: se il cliente trova un prezzo online più basso, porta il telefono alla cassa e gli viene applicato lo stesso prezzo.
Non solo: Walmart offre ai migliori clienti la consegna gratuita a domicilio e sta invitando i clienti a comprare online e ritirare la merce nel negozio (anche il giorno stesso) per evitare i costi di spedizione. Infine ha creato una app molto interessante che offre al consumatore una serie di informazioni contestuali per ogni singolo punto vendita: in questo modo il consumatore che entra nel negozio si collega alla app e ottiene informazioni sui prodotti novità, sulle promozioni, sugli articoli disponibili, può avere maggiori informazioni fotografando il codice a barre, può scannerizzare il codice a barre dei prodotti acquistati per sapere quanto sta spendendo e se il prodotto è fuori stock lo puoi acquistare online (il 12% delle vendite di online di Wallmart avvengono tramite questa app). Un vero strumento per aiutare la scelta e migliorare l’esperienza d’acquisto del cliente: ma il vero plus è che il cliente che utilizza l'app non può, contestualmente con lo stesso smartphone, andare a consultare le app di confronto prezzi. Naturalmente questa app può essere consultata dai clienti anche in altri negozi concorrenti, per permettere agli Showrommer di confrontare i prezzi di Wallmart con quelli dei competitor.
É evidente che smartphone e tablet hanno messo in mano al consumatore un potere informativo e contrattuale rispetto al retail molto più forte di un tempo: il punto vendita “fisico” è nella mani del consumatore e si piega alle sue esigenze.

L'e-commerce in Europa

Come abbiamo visto, il ruolo di internet e della tecnologia nelle dinamiche di acquisto si traduce anche nell'aumento dell'e-commerce.
Secondo gli ultimi dati della Unione Europea, il 40% dei cittadini europei ha effettuato acquisti online nel 2011 (era il 37% nel 2010) e l’8,8% ha acquistato da un sito estero. Si prevede che entro il 2015 oltre 200 milioni di europei acquisteranno online con un aumento di circa 40 milioni rispetto al 2011: cioè una penetrazione del 66% degli internet user e il 50% della popolazione (fonte Forrester Research).
E non si tratta soltanto di biglietti aerei o assicurazioni: in Europa ormai 31,3 milioni di consumatori consultano almeno una volta al mese i siti di e-commerce dei prodotti alimentari (pari al 16% della popolazione online), l’8% ha fatto acquisti e sono cresciti del 29% nel 2011.
A proposito di Europa, è interessante segnalare che, nel gennaio 2012, la Commissione Europea ha proposto l’introduzione di 16 provvedimenti mirati a raddoppiare il valore dell’e-commerce nelle vendite al dettaglio (attualmente al 3,4%) e quello di internet sul pil europeo (oggi meno del 3%) entro il 2015. I parlamentari europei, quindi, non si stanno preoccupando del futuro dei tanti negozi “fisici” europei, ma investono politicamente sullo sviluppo delle attività online.

L'e-commerce in Italia

In Italia il fatturato dell’e-commerce ha sfiorato i 19 miliardi di euro nel 2011, con un incremento del 32% sul 2010 (fonte Casaleggio Associati).

Il fatturato dell'e-commerce in Italia
2004 1,645 miliardi di euro
2005 2,123 miliardi di euro (+29% sull'anno precedente)
2006 3,286 miliardi di euro (+55%)
2007 4,868 miliardi di euro (+48%)
2008 6,364 miliardi di euro (+31%)
2009 10,037 miliardi di euro (+58%)
2010 14,357 miliardi di euro (+43%)
2011 18,970 miliardi di euro (+32%)
Fonte: Casaleggio Associati

Naturalmente la parte del leone fino a oggi l’hanno fatta il turismo, le assicurazioni, l’elettronica di consumo, l’editoria e le scommesse on line, ma ormai l'e-commerce sta entrando in tutti i mercati.
Basti pensare all'abbigliamento: tutte le case di moda vendono online e le vendite nel 2011 sono aumentate del 22%. Chi l'avrebbe detto - qualche anno fa - che gli italiani avrebbero comprato vestiti e scarpe senza provarli? Andando incontro al problema del reso, non sempre semplice quando si acquista online?
Un altro esempio è
la sezione “casa, arredamento e bricolage” di eBay : più di 1 milione di prodotti in offerta e vendite cresciute del 56% nel 2011 (tra cui 6.300 divani, 115.000 elettrodomestici e 9.000 lampade).
Quello dell'e-commerce è un fenomeno che i “retailer fisici” non possono più sottovalutare: basti pensare che nella classifica dei migliori retailer statunitensi, Amazon era 19esimo nel 2010, 13esimo nel 2011 e nel 2012 dovrebbe essere entrato nella top ten.
Anche nel mercato del bricolage e del giardinaggio, le vendite online sono oramai una realtà: non soltanto per l'azione dei grandi colossi, come Amazon e eBay, ma anche per l'attività di molte realtà più piccole, tra cui non mancano tanti punti vendita “fisici”.
L’e-commerce è una strada che tutti i retailer specializzati devono iniziare a percorrere, poiché l’affiancamento tra negozio fisico e virtuale è ormai un cammino obbligato per competere nel “nuovo mondo” del commercio che si svilupperà nei prossimi anni.

E-commerce: il problema dei prezzi

Il primo ostacolo per i “retailer fisici” è la gestione dei prezzi online rispetto a quelli applicati nei punti vendita. Anche negli Stati Uniti (secondo lo studio William Blair) Target e Walmart hanno prezzi mediamente inferiori del 2% e dell’1% nei siti online, ma evitano di sottolineare le differenze di prezzo tra web e negozio perché temono di competere con sé stessi. Questo timore, in realtà, non dovrebbe esistere e potrebbe indurre molti in errore.
In primo luogo perché i consumatori (tutti, non solo gli
showroomer) cercano nell'e-commerce prezzi competitivi e utilizzano i tantissimi siti di confronto prezzi, che elencano le offerte in ordine di prezzo decrescente: se il vostro sito di e-commerce ha prezzi troppo alti, rischiate di finire nelle ultime pagine che nessuno vedrà, rischiando così di vanificare l'investimento economico per sviluppare le vendite online. La competizione non è quindi tra “negozi fisici” e e-store (una lotta impari, come quella con la GDO), ma tra i siti web dei “retailer brick &mortar” e quelli di e-commerce, andando naturalmente a sviluppare tutte le strategie necessarie per valorizzare la presenza di “negozi fisici”.
Il confine tra “negozio fisico” e “negozio virtuale” sta sfumando e l'obiettivo non è tanto di promuovere l'idea di fare acquisti online ma di essere presenti quando il cliente vuole acquistare. Non si tratta, quindi, di convincere il cliente a venirci a trovare nel negozio, ma di essere presenti – sempre e ovunque – nel momento in cui il consumatore matura la decisione d'acquisto (in strada, nel negozio di un competitor o comodamente seduto sul divano di casa).
Un ultimo aspetto da non sottovalutare è la teoria della Coda Lunga, esposta nel 2004 da Chris Anderson su Wired Usa e pubblicata nel libro “La coda lunga, da un mercato di massa a una massa di mercati”. I prodotti che entrano negli scaffali dei “negozi fisici” hanno necessità di importanti rotazioni e quindi sono solo best sellers (il cosiddetto mainstream); al contrario i siti di e-commerce (che non fanno magazzino e pubblicano una semplice foto) possono ampliare notevolmente l'offerta, andando a soddisfare anche le richieste di nicchia che non potrebbero trovare posto sugli scaffali dei punti vendita a causa delle ridotte rotazioni (la coda lunga). Per fare un esempio, ciò significa che un “retailer fisico” potrebbe offrire nel negozio una gamma di vasi di 4 colori (i più venduti) e nel sito la linea completa di 60 tonalità, ben segnalando ai clienti nel punto vendita la possibilità di acquistarli online. Magari tramite una triangolazione con il produttore per evitare di appesantire il magazzino. In questo modo si evita la cannibalizzazione tra prezzi fisici e virtuali e si amplia notevolmente l'offerta, andando a conquistare vendite che altrimenti sarebbero perse o lasciate all'e-commerce.

Quali soluzioni per i negozi "fisici"?

Benché la “battaglia” tra negozi fisici e virtuali sembra persa in partenza a vantaggio dei secondi, i più importanti retailer mondiali stanno già attuando delle strategie per affrontare il fenomeno della multicanalità e dello Showrooming.
Oggi il consumatore è più informato e il tempo di reazione dei punti vendita è sempre più ridotto: è quindi importante prepararsi adeguatamente a questa rivoluzione, pur in presenza (specialmente in questi tempi di crisi dei consumi) di ridotte risorse di tempo, uomini e soldi.
Vediamo insieme una road map di 9 punti, lungo cui guidare le strategie concorrenziali dei “negozi fisici” nell'era digitale.

1 – Integrare

L'integrazione tra il “negozio fisico” e le attività online deve essere marcata e ben evidente agli occhi dei consumatori, andando a sottolineare tutti i plus. Pensare che il “negozio fisico” sia anacronistico e senza utilità è un errore: non è un caso che molti siti di e-commerce stanno aprendo dei punti vendita.
Pensiamo per esempio al mercato bancario: secondo Abi negli ultimi 4 anni (dal 2008) sono state chiuse il 4% delle filiali e gli utenti di homebanking sono cresciuti di oltre il 30% (dai 5,5 milioni del 2008 agli attuali 7,5 milioni). Eppure le banche “native digitali”, come per esempio Conto Arancio, stanno aprendo delle filiali “fisiche”, perché hanno compreso l'importanza di presidiare il territorio. Un altro esempio è Groupon (sito che offre coupon, cioè acquisti scontati) che a luglio ha aperto il suo primo store "fisico", dove i clienti possono vedere, provare e toccare con mano i prodotti (uno per tipo, quindi senza magazzino) e acquistarli online sui tablet messi a disposizione dei clienti.
Integrare” significa quindi mantenere le caratteristiche tipiche dei punti vendita fisici (toccare i prodotti, testarli, rivolgersi agli addetti alla vendita per un consiglio, ecc.), arricchendole che le nuove possibilità offerte dalla tecnologia. Per esempio un negozio nel quale posso ritirare i prodotti acquistati online (risparmiando le spese di consegna), posso ordinare online un prodotto fuori stock nel momento della mia visita, dove posso leggere direttamente dal cartellino del prezzo le recensioni di altri consumatori, dove posso accedere a contenuti multimediali relativi al prodotto tramite smartphone o tablet e dove posso pagare con il telefonino.
Basti pensare agli Apple Retail Store, dove il cliente è invitato ad acquistare online anche nel negozio.

2 – Selezionare meglio i fornitori

Investite nei fornitori che sanno offrire una vera partnership e possono offrirvi dei prodotti in esclusiva, cioè non presenti online. Quando fate acquisti, verificate prima i prezzi online, in modo da offrire un assortimento equilibrato e non vulnerabile allo Showrooming.
A questo proposito è interessante leggere la comunicazione che la catena statunitense Target ha inviato a gennaio ai suoi fornitori e ripresa dal Wall Street Journal: “Non siamo disposti a cedere le nostre vendite ai rivenditori online, lasciando ai negozi fisici il compito di fare da showroom ai vostri prodotti, senza che voi non facciate investimenti, come noi, per mostrare con orgoglio i vostri marchi”.
Come dire: “volete vendere online? Nessun problema, ma io smetto di farvi da showroom gratuitamente”.

3 – Essere "mobili"


I codici QR possono essere utilizzati in modo innovativo, perché permettono al “negozio fisico” di uscire dalle mura per conquistare nuovi clienti. Basti pensare alle esperienze già condotte da Tesco alle fermate di autobus e metro di Singapore e in Corea e nell'aeroporto di Londra e da Sorli Discau nella metropolitana di Barcellona. Hanno realizzato delle campagne pubblicitarie con affissioni di poster che simulano gli scaffali dei prodotti: tramite i codici QR, gli smartphone e un'applicazione, i consumatori possono fotografare i prodotti che desiderano acquistare e farseli recapitare a casa.



Naturalmente i codici QR devono essere utilizzati anche all'interno dei punti vendita, per fornire assistenza, consigli e spiegazioni. Sia per migliorare l'esperienza d'acquisto e fornire tutte le informazioni necessarie al cliente, ma anche per evitare lo Showrooming: se il cliente usa il cellulare per guardare i contenuti dei codici QR non avrà la possibilità di consultare i siti di confronto prezzi.
Poiché molti consumatori italiani non conoscono ancora l'uso dei codici QR, è bene che il personale di vendita li aiuti per dimostrarne la facilità d’uso: magari mostrando il risultato sul suo cellulare o tablet.

4 – Aggregare

L'utilizzo dei social network (come per esempio Twitter e Facebook) sono una parte integrante molto importante del rapporto di comunicazione tra retailer e clientela. Ma ci dicono poco sul nostro “cliente follower”: meglio una Brand Community costruita sul sito aziendale che permette una maggiore capacità di analisi e di raccolta dati. I dati 2012 di Connexia dicono che il 29% degli italiani è iscritto a una Brand Community e chi ne fa parte conosce meglio il brand rispetto ai follower dei social network.
Un buon esempio nel nostro mercato è il progetto Casabrico di Bricocenter lanciato nel gennaio 2012. Casabrico risponde alle maggiori richieste dei clienti (passione, urgenza, decorazione, tecniche, ecc.) e coinvolge gli utenti (creazione di contenuti, partecipazione ai sondaggi, ecc.) premiandoli con “punti”, che possono essere accumulati per ottenere buoni sconto.
I risultati di questo lavoro sono impressionanti: secondo i dati
Connexia, Casabrico ha raccolto più di 50.000 iscritti (in soli 11 mesi di attività), 120.000 visitatori unici mensili e un engagement rate del 35% degli iscritti. Il 20% degli iscritti ha ottenuto buoni sconto.

5 - Assistere

Contrariamente a quello che si potrebbe superficialmente pensare, il ruolo degli addetti alla vendita è fondamentale nel nuovo processo d'acquisto. Naturalmente con le opportune innovazioni.
Anzitutto il personale dovrà essere altamente qualificato: come abbiamo visto il consumatore arriva nel punto vendita già informato (sulle caratteristiche e i prezzi dei prodotti) e non è pensabile affidarlo a commessi “improvvisati”. Laddetto alle vendite deve essere un esperto delle soluzioni tecnologiche offerte dal mercato e deve anche conoscere i prezzi dei siti di e-commerce, per poter spiegare al cliente le differenze e giustificare il maggior valore aggiunto di un prodotto rispetto a uno più economico. Non un “rappresentante” che cerca di forzare l'acquisto del prodotto più costoso, ma un professionista capace di orientare il cliente in base alle singole esigenze di qualità e prezzo. Un esperto che conosca bene l'evoluzione della tecnologia del settore e, per esempio, mi sconsigli l'acquisto di un tosaerba che fra poco verrà tolto dal mercato: evitando così l'imbarazzo del consumatore che non troverà pezzi di ricambio dopo pochi mesi dall'acquisto.
Un esperto che sappia anche mostrarmi sul tablet le opinioni di altri consumatori verso il prodotto che stiamo consigliando.
Gli addetti alle vendite devono essere inoltre
addestrati a identificare i clienti che stanno facendo Showrooming (cioè quando consultano smartphone o tablet davanti allo scaffale) e devono intervenire per aiutarli nell’acquisto e indirizzarli verso l’offerta del punto vendita. Se il cliente sta cercando il prezzo migliore e il negozio non può competere con le offerte online, l’addetto deve comprendere al volo la situazione e orientare il cliente verso il prodotto più competitivo del negozio, giustificandone il valore aggiunto rispetto all'offerta online.
Ciò significa che i commessi devono essere sempre informati sui prezzi dei siti di e-commerce e monitorare quotidianamente le recensioni online dei consumatori.
Per queste ragioni nello scorso settembre la catena Usa di bricolage Lowe ha dotato tutti i suoi 42.000 dipendenti di un iPhone. In questo modo tutti gli addetti possono controllare rapidamente le scorte di magazzino, possono trovare informazioni e video sui prodotti da mostrare ai clienti e naturalmente possono verificare i prezzi dei concorrenti (online e non). Tutti elementi che possono essere condivisi con il cliente, dimostrando trasparenza e sicurezza nella gestione delle informazioni.
Gli addetti alle vendite di Walmart, grazie all'uso dei tablet, aiutano i clienti a comprare online i prodotti che in quel momento sono fuori stock. Se i dati dell'inventario sono già informatizzati, è bene metterli a disposizione degli addetti alle vendite in modo che possano facilmente comunicare al cliente (consultando un tablet) la presenza o meno del prodotto nel punto vendita o in magazzino.

6 - Ibridare

Le attività “fisiche” e “online” devono interagire ed essere compenetranti. Pensiamo per esempio ai volantini: secondo i dati Nielsen, in Italia se ne stampano 12 miliardi all’anno e circa 11 milioni di consumatori li leggono regolarmente. Ma già 2 milioni preferiscono leggerli online, perché sono sempre disponibili anche in mobilità (per esempio quando sono in un negozio).
Si tratta sicuramente di una minoranza, ma è una strada che bisogna percorrere: sia perché costano meno al
retailer (niente stampa e spedizione) sia per la maggiore ecosostenibilità.

7 - Fidelizzare

I migliori clienti devono essere “custoditi” e quindi maggiormente fidelizzati, per esempio con servizi premium esclusivi concepiti ad hoc per i big spender. Per esempio la consegna gratuita a domicilio o la consegna veloce (in giornata), ma anche con un'attività di servizio e contatto capace di proseguire il rapporto anche fuori dal punto vendita. Quando è stata l'ultima volta che un vostro addetto ha chiamato o inviato una e-mail a un cliente dopo l'acquisto, per verificarne la sua soddisfazione?

8 - Gestire le informazioni

É necessario investire nell'automazione dei processi di marketing, affinché tutti i dati raccolti confluiscano in un unico CRM che tenga conto dello storico del cliente: carte fedeltà, brand community, social network, apps, ecc. I dati personali del cliente, la sua e-mail, il numero di cellulare, la sua storia di acquisto, la carte fedeltà, le sue attitudini verso il punto vendita, i dati della brand community, il suo “peso” nella rete social e il suo Open Graph di Facebook sono tutti elementi che devono entrare nel CRM ed essere utilizzati correttamente. Open Graph di Facebook ci dice, di ogni utente, il profilo sociale, la mappa delle persone che conosce (familiari, colleghi, amici, amici di amici, ecc.) e naturalmente gli interessi e le preferenze (mi piace”, condivisioni, ecc.). Walmart e Etsy profilano già i clienti con i dati delle carte fedeltà e Open Graph e spediscono promozioni e sconti in base alle preferenze di Facebook. Molte altre imprese già lo fanno (tecnologicamente è una banalità) ma molti retailer italiani non hanno ancora affrontato questo upgrade e purtroppo tanti non usano neppure le carte fedeltà: uno strumento fondamentale in questo nuovo scenario.
L'evoluzione della geolocalizzazione (che ci permetterà di sapere dove si trova ogni singolo cliente e sarà uno dei driver dell'interazione mobile) consentirà tecniche commerciali davvero innovative. Grazie a un CRM così costruito, sapremo - in tempo reale - che un cliente è entrato nel punto vendita e tramite Facebook ha scritto a un amico per chiedere un consiglio sull'acquisto di un barbecue: avendo la possibilità di inviargli un contenuto via sms (per esempio una promozione sui barbecue) o, meglio ancora, facendo intervenire un addetto alle vendite. Già oggi possiamo offrire un'esperienza d'acquisto al consumatore in funzione di ciò che desidera in quel preciso momento. Non si tratta di un futuro avveniristico: le tecnologie e le piattaforme esistono già e per farvi un'idea è sufficiente ricercare su Google marketing automation” e “knowledge base integration”. Il marketing automation correttamente implementato è la vera chiave di differenziazione e di successo dei rivenditori “fisici”.

9 – Interagire

Tutte le diverse attività online devono interagire in modo intelligente, in modo che i vari strumenti sappiano costruire un “mondo” attorno al cliente (e a suo favore).
E non è detto che tutti gli strumenti debbano confluire nel sito aziendale: meglio sarebbe concepire i vari strumenti per le finalità d'uso, utilizzando tutte le possibilità che la tecnologia offre (applicazioni, forum, brand community, social, ecc.). Ogni strumento è un anello e insieme agli altri costruisce una catena capace di interagire.
Molto importante, a questo proposito, sono le diverse funzioni d'uso: se il cliente deve scegliere un nuovo rasaerba e sta raccogliendo le prime informazioni, non ha molto senso entrare nel dettaglio (e parlare di rapporto di coppia) e forse sarebbe meglio un video per mostrare le differenze tra macchine a scoppio, elettriche, a batteria o mulching. Se al contrario il cliente è nel punto vendita e sta toccando con mano una determinata macchina, abbiamo bisogno di fornire delle notizie più dettagliate su quel particolare prodotto (per esempio tramite codice QR), magari evidenziando i vantaggi rispetto ad altre macchine simili e il grado di soddisfazione dei consumatori che lo hanno già acquistato.
In quest'ultimo caso, forse è meglio utilizzare un'applicazione per smartphone e tablet, anziché il sito aziendale. Un'app che, per esempio, offra servizi per avvicinare il consumatore al punto vendita, assistenza durante l'acquisto (con video e schede tecniche), servizi per il post vendita e soluzioni per assicurare il contatto con il cliente anche dopo l'acquisto.
Un esempio interessante è il nuovo punto vendita Burberry di Londra, che è stato progettato fin dal principio per sviluppare tutte le più moderne tecniche di interazione, arricchendo l'esperienza d'acquisto con informazioni contestuali e pertinenti e connessioni ai servizi online (carte fedeltà, brand community, ecc.). Una particolarità di questo negozio è che il cliente, dopo aver scelto il prodotto, si accomoda su un divano, lasciando al commesso il compito di effettuare il pagamento senza dover fare file alle casse: è un esempio di interazione tra l'esperienza d'acquisto online e offline, visto che uno dei “valori” promossi dall'e-commerce è la possibilità di comprare stando comodamente seduti sul divano di casa.



Inoltre il negozio di Burberry di Londra utilizza migliaia di sensori per misurare e analizzare i comportamenti dei consumatori nel punto vendita. I sensori permettono, per esempio, di analizzare grafici dei flussi delle persone nel punto vendita per individuare i punti focali, ma saranno determinanti con lo sviluppo della geolocalizzaione.

IoT INTERNET OF THINGS

Il tema dei sensori merita attenzione perché il fenomeno del 2013 sarà l'IoT, dall'inglese Internet of Things (cioè Internet delle Cose). Si tratta di oggetti capaci di rendersi riconoscibili, di comunicare fra loro e di accedere alla rete (e ai device) per raccogliere o inviare informazioni.
Fino a oggi l’evoluzione dell'IoT si è incentrata sui mercati più importanti, come per esempio l'edilizia con lo sviluppo delle cosiddette smart city: lo studio Living Planit sta sviluppando in Portogallo una città con svariati milioni di sensori posizionati negli edifici, nei mezzi pubblici e nel sistema idrico, fognario ed elettrico. Abitazioni concepite per risparmiare risorse e informare i cittadini su sprechi, consumi ed eventualmente guasti.
Ma l'Iot entrerà nelle nostre vite con prodotti capaci di prestazioni mai viste prima: oggetti che acquisiscono un ruolo attivo grazie al collegamento alla rete. Per esempio sveglie che suoneranno prima se c'è traffico, flaconi di medicine che avvisano i familiari se il malato si dimentica di prendere un farmaco oppure piante che ci comunicano quando è il momento di innaffiarle e concimarle.
L'evoluzione sta facendo passi da gigante e sono già in commercio dei device che captano le nostre onde celebrali: ciò significa che fra pochi anni potremo acquistare degli occhiali che ci permetteranno di comandare computer - e quindi codici QR nei negozi - senza togliere le mani dalle tasche.
Qui sotto potete vedere il video di un mini-elicottero comandato dalle onde celebrali grazie a questi device.



Contemporaneamente si sta sviluppando il nuovo mercato dei computer da polso, che ci permetteranno di usare lo smartphone senza toglierlo dalla tasca e forniranno moltissime informazioni, grazie anche alla geolocalizzazione. Banalmente possiamo immaginare di poter controllare costantemente il battito del nostro polso e – in caso di pericolo per la salute - ricevere un'ambulanza senza averla chiamata.
Tutti elementi di un mondo che sarà sempre più interconnesso: elementi fondamentali anche per lo sviluppo dell'attività dei retailer. La tecnologia c’è e le piattaforme ci sono: ciò che spesso manca è la chiarezza mentale degli imprenditori per cogliere le occasioni insite nell’avvento della nuova era digitale.