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Comunicazione d’impresa: perché la competenza professionale oggi è importante

30 October 2008
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Primo di una serie di articoli per approfondire le esigenze più diffuse delle aziende nella gestione delle proprie relazioni di business con i vari pubblici.

“In principio era il Verbo, il Verbo era Dio e il Verbo era presso Dio”. Il Vangelo di Giovanni, 1,1, comincia definendo Dio come Parola. Qualunque cosa si pensi di Dio, tutti gli uomini di tutti i tempi associano a questo termine, Dio, il concetto di assoluto. Ebbene, è significativo che una delle religioni più importanti della storia definisca Dio creatore proprio come Parola.
Potrebbe bastare tale riflessione a dimostrare intuitivamente quanto è importante la comunicazione in ogni attività umana, pubblica e privata e anche quanto è complessa. Eppure, mentre la nostra società occidentale è arsa da un non sempre condivisibile desiderio di comunicare costantemente, soprattutto in Internet, attraverso le migliaia e migliaia di social network che chattano, bloggano, si incontrano nei forum e con le email 24/24, sono ancora numerose le aziende in Italia che non danno importanza alla comunicazione. Non la gestiscono, la fanno gestire a figure non preparate nella materia specifica, se il business scricchiola è il primo investimento a cui rinunciano.
Per esempio, ho verificato di persona, tenendo un corso per ISFOR 2000, che nelle aree di maggior sviluppo del Paese, nelle province lombarde e dell’Italia del nordest, la comunicazione in azienda come ruolo professionale non è proprio presente.
Magari si investe in pubblicità, si fa un giornalino, come viene chiamato l’house organ, si partecipa alle fiere, ma si ritiene che le attività di comunicazione debbano essere gestite dal titolare e/o dalla sua segreteria.
Essere insomma vicino al cuore dell’azienda, dentro il cuore stesso, non comporta necessariamente di possedere tutti i saperi utili al suo pulsare in buona salute.
Tuttavia, mentre certe considerazioni sono evidenti in tema per esempio di elettronica, amministrazione, informatica, edilizia,dove ci si serve di figure specializzate, in tema di comunicazione sembra che tutti siano in grado di gestire la comunicazione d’impresa per il solo fatto che “diamine! Ognuno sa parlare!”.
Eppure quante volte parliamo e non ci sentiamo capiti, per esempio tra marito e moglie, tra genitori e figli: perché siamo sicuri invece che con i clienti o i fornitori o con i dipendenti quello che diciamo è la cosa giusta da dire e viene capita proprio come desideriamo?
A dire il vero, la capacità di improvvisazione tipica degli italiani, qualche volta ottiene effettivamente risultati improbabili.
Peccato che la complessità dell’attuale assetto socioeconomico del mondo globalizzato non premi l’improvvisazione, ma al contrario richieda una preparazione pratico teorica altissima e sempre aggiornata, tale per cui la professionalità è indispensabile.
A cominciare da questo articolo, faremo insieme delle riflessioni sulla comunicazione d’impresa per chiarirci le idee su cos’è, a che cosa serve, chi la può e deve fare, con quali strumenti.
L’obiettivo è formarsi dei punti fermi per organizzare una comunicazione consapevole, mirata e misurabile.
6 parole chiave: comunicazione, relazione, stakeholder, impresa, target, brand.


La comunicazione


“Sappiamo con certezza che la funzione del comunicare - scrive Anna Maria Testa in Farsi capire - è connessa con la sopravvivenza dell’individuo e della specie. Che le specie sviluppano linguaggi tanto più complessi quanto maggiore è la loro complessità sociale e che le specie separate parlano dialetti differenti: api italiane trasportate in un alveare tedesco lavorano come le altre ma la loro danza messaggio viene capita solo in parte”.
Per comunicazione di solito intendiamo il semplice esprimere qualcosa (attività elementare quanto inevitabile per il solo fatto che esistiamo), il comunicare qualcosa a qualcuno, il comunicare con qualcuno quando dal destinatario ci aspettiamo una risposta (feedback).
La comunicazione d’impresa quindi, poiché è finalizzata a una risposta, ovvero un ritorno sul business, è una “comunicazione con”, implica dei feedback che dunque devono essere gestiti.
Inviamo messaggi perché chi li riceve parli e pensi bene di noi, la pensi insomma come vogliamo noi e agisca di conseguenza. Pubblichi il nostro comunicato, venga al nostro stand, compri il nostro prodotto, scelga di lavorare con noi o per noi, distribuisca con profitto per noi i nostri prodotti/servizi, etc.
Stiamo trattando un argomento che rimanda a personaggi come Aristotele con la sua Retorica, il manuale di arte oratoria e uso del linguaggio a fini di persuasione a sostegno del potere. Altro che improvvisazione!
Torniamo all’impresa.

Il brand


Quello che gli altri pensano della nostra azienda è parte del brand.
Ovvero il brand è la nostra reputazione sul mercato e si sintetizza nel marchio, insieme con tutte le percezioni emotive, sensoriali, estetiche, ecc., che gli altri hanno di esso.
Attenzione quindi: il marchio è la concentrazione di tutta l’azienda, non solo dei prodotti e servizi, ma anche del suo comportamento interno ed esterno, della sua logistica, dei tempi con cui paga i suoi fornitori e tratta i suoi dipendenti, quindi della sua etica, etc.
Proprio come se fosse una persona, perché l’impresa per il mondo è una persona.
D’altronde la comunicazione è sempre solo fra persone e pertanto le relazioni di comunicazione con l’azienda sono personificate.

Relazione


In fatto di comunicazione d’impresa, sentiamo parlare di pubbliche relazioni o di PR, public relations. Adesso penso sia chiaro che quando si parla di comunicazione si parla di relazioni. Pertanto la gestione delle relazioni di una impresa sono pubbliche: con clienti, fornitori, dipendenti, istituzioni, giornali e giornalisti, associazioni di categoria, concorrenti, banche, investitori, ecc.
Tutti i soggetti che possono direttamente o indirettamente influenzare il vostro business.
Tecnicamente questi soggetti si dicono stakeholder.
Ed ecco l’assurdità di credere che fare comunicazione d’impresa sia fare un po’ di pubblicità.
Essendo una persona, l’azienda comunica continuamente attraverso numerosi canali e a numerosi stakeholder, con un sistema di relazioni che, se non gestite,verificano una dispersione che, nel migliore dei casi, frena il potenziale di tutti gli altri investimenti.
Vi è mai capitato di avere problemi perché qualcuno che neanche conoscete, parla male della vostra azienda, del vostro prodotto, ecc., magari su Internet? Ecco una comunicazione d’impresa non gestita, capace perfino di inficiare una bella campagna pubblicitaria.
Non è sempre stato così. In una realtà socioeconomica più semplice, agli albori del consumismo, l’azienda, come ognuno di noi, viveva una sua dimensione ristretta a un’area di valori/bisogni precisi, condivisi e quindi noti, a prescindere. C’erano i target che un buon sociologo poteva descrivere nei loro comportamenti minuto per minuto.

Il target


Adesso il target non è neppure il singolo individuo ma la persona- in un dato momento- in una certa situazione.
E il suo bisogno è di volta in volta per esempio su ognuno dei livelli della scala di Maslow e su tutti, in un unicum di razionalità, emotività, sensorialità.
Ricordo, ai corsi di ISFOR 2000,lo stupore di un giovane ingegnere gestionale che si occupa dello sviluppo di una catena di negozi quando si diceva che la fortuna di un supermarket inizia dal parcheggio, senza il quale fermarsi a fare la spesa lì, può essere conveniente in teoria, ma impossibile nella pratica.
Ammesso che la scelta del supermarket si faccia con criteri di economicità.
Io stessa vado all’… se voglio fare la scorta per la famiglia, anche se è più distante da casa, ma preferisco… se ho voglia di ‘fare un giretto’ in cerca di sfizi, perché lì trovo anche tante cose per la casa, per il giardino, per il tempo libero.
Le due insegne appartengono allo stesso mercato ma rispetto allo stesso consumatore, considerato in due momenti di fabbisogno diversi, sono due offerte diverse. Nella prima voglio trovare quello che cerco subito e facilmente, meglio se costa poco ed è in offerta; voglio fare in fretta, non mi aspetto delle sorprese merceologiche.
Nel secondo caso, gradisco una musichetta di sottofondo che mi accompagni mentre girovago col piacere di essere sorpresa; basta che i prezzi siano moderati (ho scelto un giretto nella GD non in boutique) e il mio bisogno di svago è soddisfatto.
Compare sulla ribalta il concetto di ‘contesto’: una comunicazione con qualcuno non può non tener conto del contesto, inteso globalmente come ambito dell’atto di comunicare e dei soggetti comunicanti.
Apparentemente stiamo divagando ma non è vero: voglio condividere con voi la consapevolezza che viviamo in una realtà complessa dove i contesti spesso non sono chiari a priori, dove i flussi di comunicazione sono tanti e interagenti, dove la comunicazione è un processo che richiede un regista con competenze ampie, dal business specifico in cui opera alle dinamiche della comunicazione in sé e per sé, dagli scenari socioeconomico culturali a quelli politici, ecc.
Altrimenti si rischia di fare il “telefono senza fili”: ricordate da piccoli questo gioco?
Al corso l’abbiamo fatto e una parola relativa a un servizio dato in luglio e agosto dalle parrocchie del luogo per le famiglie, è stata capita solo da due persone su 9: due donne che avevano direttamente o indirettamente problemi di collocazione di bimbi nel periodo estivo.
A voi non è mai capitato qualcosa di simile in azienda? Di avere organizzato una cosa per voi importante, di averla comunicata al meglio secondo voi, con un ritorno insoddisfacente?
E ora vi lascio con un compito per l’autunno: provate a pensare a quale stakeholder comunicare per primo qualcosa della vostra azienda, in relazione al vostro obiettivo di business, e poi verificate se quello che state comunicando a quel soggetto è coerente con quello che state comunicando con gli altri soggetti.
Sotto suggerisco una traccia delle situazioni più comuni.
  • Ogni settore comunica all’interno senza sapere cosa viene comunicato all’esterno e così l’azienda è come un treno dove ogni carrozza va per conto suo: per esempio l’ufficio stampa scrive che l’azienda è in fase di sviluppo mentre l’ufficio personale minaccia licenziamenti.

  • Ogni settore si pone un proprio obiettivo senza verificare che sia sempre coerente con l’obiettivo dell’impresa nel suo insieme: per esempio l’amministrazione paga in ritardo per far risparmiare l’impresa che invece sul sito si descrive attraverso valori etici.

Due casi concreti in cui mi sono imbattuta:
  • Il negozio è ben assortito ma sul territorio mancano le indicazioni per raggiungerlo: caso concreto dell’outlet di una notissima azienda dolciaria alle porte di Milano.

  • L’azienda decide una strategia di vendita di un prodotto proponendolo nell’ambito di uno stile di vita e il pubblicitario, che serve quell’azienda da anni, resta fermo alla tradizionale comunicazione tecnica.

Si profila, quindi, l’esigenza di una STRATEGIA di comunicazione, della quale parleremo nel prossimo numero.