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Le prospettive delle private label

30 September 2007
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I cambiamenti e le evoluzioni, soprattutto culturali e organizzative, che caratterizzano da oltre un ventennio il mondo delle imprese commerciali e il sistema distributivo in genere, hanno inevitabilmente indotto a una rivalutazione delle strategie gestionali e di marketing orientandole verso iniziative di generazione costante di risorse fiduciarie customer based.
L’obiettivo è l’innalzamento della soglia di fiducia o della cosiddetta fedeltà cognitiva della clientela. Un segno tangibile di “store loyalty” prima ancora che “brand loyalty”, si avverte nel ruolo crescente delle private label (o marche commerciali) che queste hanno nel mix d’offerta dei distributori europei.
La marca serve essenzialmente al produttore per identificare il prodotto e renderlo riconoscibile al consumatore. Riuscire a generare nei consumatori la fedeltà alla marca permette al produttore di ottenere una posizione di forza nei confronti dei concorrenti e dei distributori. Però, questa strategia comporta rischi e spese: infatti, il produttore è tenuto a mantenere costante la qualità del prodotto venduto e a sostenere la vendita con la pubblicità; quest’ultima, infatti, è uno degli strumenti della politica di marca, assieme a confezione e etichetta del prodotto.
Il produttore deve suscitare l’interesse nel prodotto tramite messaggi che siano comprensibili e credibili, che creino un’immagine favorevole e forniscano delle informazioni per dare un fondamento razionale alle decisioni di acquisto dei consumatori. Questi ultimi, dal canto loro, attuano un comportamento d’acquisto differente a secondo del livello di fedeltà che provano nei confronti della marca: per alcune categorie di prodotti, prima decideranno la marca e poi la quantità; per altre categorie, prima la quantità indipendentemente dalla marca.
Anche l’impresa commerciale punta a generare nel consumatore la fedeltà al punto vendita, questo perché ha bisogno di sviluppare uno stabile vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti situati entro il proprio bacino di raccolta. I distributori, infatti, oltre a offrire beni, offrono anche i vari servizi ed è proprio il modo di scegliere e attuare tali servizi che crea differenziazione e genera fedeltà nei consumatori. Dopo aver suscitato la preferenza del cliente, bisogna riuscire a consolidarla, in modo che la scelta del punto vendita risulti prioritaria rispetto ai prodotti di una specifica marca e il distributore possa spostare l’attenzione del cliente su quei prodotti, possibilmente non di marca, che gli forniscono un margine maggiore.
Tra gli strumenti del distributore per generare fedeltà il più importante è la marca commerciale, con cui il distributore entra in diretta concorrenza con il produttore industriale. L’obiettivo di differenziare rispetto ai competitor si realizza attraverso un posizionamento della marca commerciale focalizzato su quelle categorie merceologiche in grado di essere percepite come distintive per gli acquirenti nel loro processo di scelta.
La pubblicità e il merchandising per la private label deve tendere a una discriminazione della marca commerciale rispetto alle altre categorie di brand concorrenti. La selezione di prodotti a marchio d’insegna con finalità precipue di fidelizzazione e l’affermazione degli elementi distintivi a essi connessi deve essere perseguita attraverso un piano di sviluppo e di marketing fondato sulla valorizzazione dei contenuti immateriali delle risorse dell’impresa rafforzando il progetto di identificazione di un sistema di valori finalizzato al cliente, coerente e riconoscibile, con ricadute virtuose sul processo di attribuzione delle preferenze a un’insegna prima che al brand.
Il ricorso alla private label, però, non deve essere indiscriminato, altrimenti si rischia di monopolizzare i lineari espositivi e ridurre la libertà di scelta complessiva del consumatore stesso, con effetti contrari alla stabilizzazione del legame tra acquirente e consumatore.
Dunque, il distributore dovrà predisporre un piano di retailing mix, declinato a livello di impresa, capace di soddisfare le esigenze di tutti i tipi di consumatori tramite la combinazione di prodotti di marca con private label e servizi aggiuntivi al cliente per trasmettere e diffondere un complessivo “sistema d’offerta di valori”, non solo economici, in grado di soddisfare aspettative di natura emotiva oltre a quelle funzionali e promuovere le condizioni per l’innesco di quel circolo virtuoso che dalla soddisfazione del cliente porta alla fedeltà nel tempo.
La qualità dei prodotti a marchio privato migliora costantemente e, contemporaneamente, anche il posizionamento di prezzo tende progressivamente a elevarsi. Resta comunque il vantaggio legato al fatto che tali prodotti consentono alle catene della distribuzione di ottenere margini di profitto elevati: infatti il margine lordo delle private label è superiore del 5-10% rispetto a quello dei prodotti di marca. Una recente ricerca Censis-Confcommercio (2004) ha messo in evidenza come stia crescendo l’acquisto di prodotti con il marchio delle più importanti catene distributive. La motivazione di scelta si suddivide fra chi lo fa per il prezzo conveniente e chi invece per la buona qualità. È da sottolineare che una parte del campione (circa un quarto) afferma di aver utilizzato prodotti a marca commerciale per la loro buona qualità.
Sono diverse le motivazioni che spiegano il successo delle marche commerciali:
Aumento del margine operativo: per effetto dell’accresciuto potere di mercato il distributore è in grado di fissare un prezzo al consumo più remunerativo per i suoi fattori produttivi.
Offerta di prodotti alternativi a prezzo inferiore: la differenziazione dell’offerta, realizzata grazie allo strumento della marca commerciale, consente al distributore di perseguire una politica flessibile in termini di qualità, prezzo e politiche promozionali. In tale modo il distributore riesce a soddisfare la crescente domanda di prodotti a prezzo basso.
Maggiore competitività: lo sviluppo delle private label può consentire al distributore di incrementare la propria competitività nei confronti degli antagonisti storici, i produttori da un lato e gli altri distributori dall’altro.
Vantaggio competitivo difficilmente imitabile: per sviluppare l’offerta di private label è necessario investire risorse finanziarie e organizzative adeguate, adottando anche una strategia di comunicazione integrata, con lo scopo di sviluppare l’immagine globale. Per il distributore, ciò comporta l’utilizzazione di politiche più o meno intensive a seconda dei propri vincoli finanziari e strutturali.
Eliminazione dal portafoglio prodotti dell’assortimento con fedeltà di marca ridotta: la marca commerciale sostituisce le marche che si posizionano nella fascia intermedia del mercato, ovvero i prodotti follower, i quali subiscono di conseguenza un processo di dereferenziamento da parte del distributore.
Aumento del potere contrattuale negli acquisti: la collocazione di prodotti a marchio proprio nel mercato arricchisce l’arena competitiva di una nuova categoria di competitori, i distributori, con una competizione diretta fra marca leader e marca privata. Il risultato è un indebolimento della posizione di mercato dell’industria, che consente alla distribuzione di incrementare la sua forza contrattuale e di ottenere consistenti vantaggi in termini di condizioni di acquisto, sia nei confronti dei produttori co-packer, sia nei confronti di coloro che si rifiutano di produrre per conto dei distributori. Tale vantaggio si esprime con un miglioramento dei margini, che sono poi utilizzati per finanziare politiche di competizione orizzontale per la conquista del mercato finale.

La fiera internazionale “Il Mondo del Marchio del Distributore” 2006 della Private Label Manufacturers Association (PLMA) svoltasi a fine maggio ad Amsterdam ha visto la partecipazione di più di 3000 stand espositivi, il numero maggiore registrato nei 21 anni di storia dell’evento, a dimostrazione del ruolo della marca privata in tutti i settori merceologici.
I dati AcNielsen mettono bene in evidenza le dimensioni del fenomeno che tocca tutti i principali Paesi europei.
In conclusione si può ritenere che la nuova sfida che si presenta ai distributori è quella di considerare le private label in termini strategici. Infatti non sono più sufficienti strumenti quali una grafica accattivante, un packaging moderno, un logo e un nome d’impatto, non è più con la semplice immagine o con un prezzo interessante che si conquista la fedeltà del cliente, ma con una coerenza globale fra aspetti estetici e di contenuto, da cui emerga chiaramente l’identità della marca.
Le aree critiche sono l’assortimento e l’innovazione: l’ampia scelta a cui il consumatore deve rispondere ogni volta che si trova davanti allo scaffale e il bombardamento di promozioni e pubblicità a cui viene sottoposto quotidianamente stanno diventando fattori di costrizione e di fastidio piuttosto che di libertà e di piacevolezza. È prevedibile quindi che il consumatore guarderà con favore a una razionalizzazione dell’assortimento e a una sua semplificazione.
È opinione diffusa che i prodotti a marca commerciale siano destinati a seguire la strada tracciata dai prodotti leader, perché i distributori non dispongono del know-how necessario. In realtà, anche se non è semplice, i distributori dovrebbero cercare di superare il loro ruolo subalterno, come del resto è avvenuto nelle realtà commerciali più avanzate. In questa prospettiva entrano in discussione i rapporti fra distributori e produttori: questi ultimi ormai cercano di conservare una delle poche prerogative che sono riusciti a mantenere in esclusiva, appunto il know-how e la capacità di innovare.
Ma la tendenza a produrre sempre più per il distributore indica che probabilmente esisterà in futuro, per chi è interessato, la possibilità di lanciare linee e prodotti innovativi anche fra le private label. Ciò determinerà pressioni ulteriori sui prodotti di marca: molti grandi produttori hanno infatti erroneamente assunto di poter mantenere prezzi elevati senza migliorare il livello qualitativo dei propri prodotti.