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Lo sviluppo strategico della marca

30 October 2007

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L’American Marketing Association ha definito la marca come: “un nome, una parola, un simbolo, un disegno o una combinazione di questi aventi lo scopo di identificare un prodotto o un servizio di un’impresa e di renderli diversi da quelli della concorrenza”. In questa logica, la marca può essere interpretata secondo due approcci:
nell’approccio più tradizionale è un nome (brand name) e un’immagine (brand mark) che distinguono un prodotto da altri simili e assume un ruolo informativo;
in un approccio evoluto è un elemento generativo della percezione del consumatore, con una capacità autonoma di creazione di valore (brand equity).

I benefici della marca


La marca permette di elevare i prezzi e i margini, crea una chiara e valutabile differenza rispetto alla concorrenza (il 66% dei manager non acquistano computer per la loro azienda se non hanno all'interno chip Intel), crea una chiara e valutabile differenza rispetto alla concorrenza, al punto che un prodotto di marca viene valutato in sede finanziaria tre volte di più rispetto ai concorrenti unbranded.
Ma i benefici della marca non sono finiti:
  • il 70% dei consumatori utilizza la marca come guida nelle sue decisioni d’acquisto,

  • il 72% dei consumatori è disposto a pagare il 20% in più per assicurarsi l’acquisto della marca,

  • il 25% dei consumatori afferma che il prezzo non ha importanza nell’acquisto della propria marca preferita,

  • il 70% dei consumatori ritiene che la marca sia garanzia di qualità,

  • il 50% dei consumatori ha fiducia di un nuovo prodotto che esce sotto il cappello di una marca nota.

Il produttore trae benefici da una marca di successo perché questa crea fedeltà nel cliente, aumenta le difese nei confronti dei concorrenti, crea vantaggi differenziali, gli consente di applicare premium price e di aumentare il potere di negoziazione sul dettagliante. Ma anche un distributore può godere di una serie di benefici perché attrae i clienti più facilmente, accelera i tempi di rotazione dei prodotti nelle superfici di vendita e trascina altre marche generiche e anche private label (questa particolare realtà sarà analizzata più avanti).
Una marca, però, non si afferma sul mercato per caso e senza un preciso piano da parte dell’azienda: il rapporto tra brand strategy e strategia dell’impresa deve essere, infatti, molto stretto; la prima è solo una parte della strategia della società che si occupa unicamente del positioning degli output dell’organizzazione; la strategia dell’impresa riguarderà i mezzi attraverso cui il vantaggio competitivo viene creato e presentato.
Il positioning è il concetto centrale del moderno pensiero sulla strategia ed è un termine utile, perché mette in evidenza che il problema chiave è il modo in cui l’offerta è presentata ai consumatori. Dunque se una marca è essenzialmente una percezione del consumatore, il positioning è il processo attraverso il quale una società offre le proprie marche ai consumatori. L’obiettivo del processo di positioning è trasformare l’offerta in una marca; se una marca deve avere una personalità semplice e unificata, ne segue che tutta la gamma delle attività che vi contribuiscono deve essere guidata da una posizione target simile. La brand position, se ben riuscita, sarà un qualcosa che i consumatori in tutto il mercato potranno capire ed esprimere.
In alcuni casi questo meccanismo funziona talmente bene che la marca del prodotto diventa sinonimo del prodotto stesso. È, ad esempio, il caso di Fischer che è diventato sinonimo di “tassello ad espansione di plastica”, al punto che nel linguaggio comune, si parla di Fischer anche per indicare tasselli prodotti da altre aziende.
Dunque una marca deve essere progettata in modo che tutti gli elementi del marketing mix comunichino lo stesso messaggio saliente. Scelto il posizionamento, la strategia di marketing deve considerare i due partner della relazione di brand marketing: l’offerta e il consumatore. Un buon nome non aiuterà mai la vendita di un prodotto dal concept errato, ma un nome “sbagliato” potrà ostacolare la percezione e la vendita di un buon prodotto. Si parla di “contributo del nome” proprio perché la marca va intesa come un dispositivo corale all’interno di un’ottica sistematica. Progettare un nome significa collocarlo in un organizzato sistema culturale di consumo e rendere tale forma un nucleo concettuale operante nel processo comunicativo.

La marca commerciale


Il panorama delle aziende che hanno deciso di inserire in assortimento dei prodotti a marchio commerciale è molto vario e diversificato. Analizzando le strategie di marca adottate si possono distinguere tre grandi gruppi di imprese di distribuzione.
Il primo gruppo è costituito da insegne che hanno scelto la marca propria come strumento di differenziazione, proponendo anche in alcune categorie la propria marca in un segmento di offerta di tipo premium, in modo tale da diffondere un’immagine di qualità e di innovazione. Queste aziende hanno affiancato la marca propria a quella del leader industriale, attraverso la realizzazione di una politica di innovazione resa possibile da una proficua collaborazione con alcuni importanti “copacker”, che sono stati in grado di assicurare la qualità sia nei processi sia nei prodotti (per “copacker” si intendono quelle imprese che producono beni con marchio industriale non proprio e che devono rispettare i parametri qualitativi imposti dall'industria committente, da contract packer). La concorrenza di queste insegne è particolarmente pericolosa per i produttori, perché attraverso un monitoraggio costante del mercato esse sono in grado di proporre in tempi sempre più brevi, delle valide alternative ai prodotti industriali.
Il secondo gruppo di aziende sono caratterizzate da un leggero ritardo nella promozione dei prodotti a marchio commerciale, che nel corso degli ultimi anni è andato via via colmandosi. La principale differenza rispetto alle insegne del primo gruppo riguarda la composizione dell’assortimento. Queste imprese, infatti, adottano una strategia di compresenza di più marchi propri diversi per tipo di marca, posizionamento e ruolo svolto. L’obiettivo di questa scelta strategica è quello di offrire un marchio per ogni tipo di esigenza dei consumatori. Con i marchi generici, ad esempio, esse soddisfano le esigenze di quei consumatori che ricercano esclusivamente la convenienza in alcunI segmenti di mercato. Con il marchio-insegna invece, offrono un alto livello qualitativo e un efficiente servizio; infine con i marchi di fantasia entrano in quei segmenti in cui è necessario proporre un buon rapporto qualità/prezzo, ma in cui l’insegna non vuole esporsi direttamente con il proprio marchio.
L’ultimo gruppo di aziende, invece, comprende tutte quelle insegne che non hanno ancora deciso di estendere lo sviluppo del prodotto a marchio. Questa decisione può dipendere da diversi fattori, tra cui ad esempio il mercato finale a cui i prodotti si rivolgono o la scelta di convenienza economica che si intende perseguire come nel caso dei discount.
Lo sviluppo di una propria marca commerciale consente al distributore di aumentare il grado di sostituibilità delle alternative inferiori di prezzo, di contribuire all’ampliamento del campo di scelta del consumatore, e infine costringe i produttori di marca industriale a confrontarsi con un competitor diverso dagli altri, in un certo senso molto più pericoloso. Naturalmente, la marca commerciale non si pone come obiettivo quello di andare a sostituire completamente la marca industriale, anche perché non sarebbe in grado di competere soprattutto per quel che riguarda la componente innovativa del prodotto.
Partendo da questo presupposto, il primo obiettivo che si propone la marca commerciale è quello di offrire un’alternativa alle marche che compongono l’assortimento di una singola categoria. La marca commerciale nella mente dei consumatori è spesso associata ad una dimensione di convenienza economica. Proprio per questo il distributore, con lo sviluppo di una propria marca, deve essere in grado di offrire alternative inferiori di prezzo, che variano a seconda della forza della marca industriale di riferimento e del rapporto quota/redditività che l’insegna intende perseguire.
Le economie di costo derivanti da un minor prezzo di acquisto, da minori investimenti in comunicazione e da un assortimento meno profondo in termini di formati e gusti, consentono alle aziende di distribuzione di raggiungere questo obiettivo, fornendo prodotti a marchio con una qualità molto simile a quella dei prodotti industriali ma con un prezzo inferiore.

La relazione Produttore/Distributore/Consumatore


Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione è connesso alle possibilità offerte dai i prodotti a marchio del distributore in termini di fidelizzazione del cliente. Questo avviene solo nel caso in cui l’azienda riesce a rendere la sua marca riconoscibile, ossia quando il consumatore riesce ad associare marca del prodotto e marca dell’insegna. In questo modo il distributore riesce a coniugare brand loyalty e store loyalty, ottenendo un vantaggio competitivo e migliorando contemporaneamente la propria redditività.
La sfida dei prossimi anni si svolgerà proprio in questo ambito: da un lato avremo marche di prodotto che caratterizzeranno prodotti di elevata qualità che avranno un posto di rilievo nella grande distribuzione e dall’altro lato i marchi delle grandi catene di distribuzione che avranno la possibilità di definire il mix di offerta controbilanciando il potere del canale distributivo con quello dei prodotti leader, a scapito di quei prodotti che non avranno la forza di conquistare una precisa identità di marca perché gestiti da aziende di limitate dimensioni. Queste ultime dovranno valutare se cercare di fare un salto di qualità o di accettare le condizioni imposte dal distributore.
La necessità di una strategia di marca chiara sarà fondamentale per i produttori anche in virtù della crescente competizione a livello globale.

*: Giovanni Covassi è docente di marketing e di web marketing presso l’Università Cattolica di Milano. Svolge attività di formazione e di consulenza nell’ambito dell’applicazione delle tecnologie dell’informazione al marketing. Nel (poco) tempo libero si dedica con passione ad attività di bricolage.