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Supply chain: più efficienza e meno costi

14 February 2008
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L’atmosfera che si respira ormai da diversi mesi leggendo i giornali e guardando la televisione è sicuramente di preoccupazione: forte concorrenza, riduzione dei margini, crisi, queste sono le parole più utilizzate. In risposta a questo stato generale di preoccupazione, che perdura ormai da anni, vogliamo cogliere l’occasione dell’inizio dell’anno per fare un momento di riflessione, in particolare sui players del mercato che formano la Supply Chain.
Iniziamo con la descrizione del ruolo, che riveste ogni anello della filiera: la grande industria, l’artigiano, il dealer, i grandi e i piccoli clienti.
Uno dei principali argomenti in discussione ha riguardato la modalità di relazionarsi di ciascuno con i propri fornitori e clienti.
In altri termini si è cercato di parlare di strategia e quindi di “comportamenti economici” mai come in questo momento di attualità. Sebbene l’argomento, almeno da un certo punto di vista, sembrasse di grande attualità, molti operatori hanno disatteso l’appuntamento. In effetti parlare di strategia e di marketing, soprattutto in Italia, è di attualità ma alla pianificazione si preferisce l’improvvisazione, all’analisi la fantasia, allo studio dei dati economici la sensibilità personale e la navigazione “a vista”. E si vede. In Germania o Giappone fanno diversamente ma noi... Sebbene da un punto di vista strettamente commerciale dimostriamo di preferire il risultato di quel modo di lavorare, quando dobbiamo operare agiamo “all’italiana”, sperando, in qualche modo, di farcela comunque, anche se ormai dovremmo aver capito che così facendo non si va da nessuna parte.
Ciò nonostante saper fare strategia e analizzare le dinamiche del mercato sarà un fattore base per il successo o l’insuccesso di qualsiasi attività economica. Proviamo quindi ad analizzarle, forse da una diversa prospettiva, con l’obiettivo di fornire uno stimolo per alcune riflessioni.

Gli attori del mercato


Il grafico 1 illustra una rappresentazione schematica dei rapporti esistenti nella filiera. Analizzando la produzione, due sono i fenomeni rilevanti:

  • la grande industria, che possiede la leadership nella produzione, cerca di conquistare quote di mercato realizzando prodotti altamente specializzati, per i quali il prezzo non è più motivo di decisione di acquisto;

  • l’esatto contrario si verifica nel settore delle commodities (prodotti standard di largo consumo) in cui i piccoli artigiani riescono ad avere quote di mercato superiori alle grandi industrie; infatti questi ultimi, avendo costi fissi bassi e un’alta flessibilità possono competere sulla leva del prezzo a cui sono fortemente sensibili piccoli e grandi clienti.


La produzione sta seguendo una logica a forbice in cui il divario fra specialità e commodities sta diventando sempre più ampio in un contesto di domanda che richiede fondamentalmente “prezzo”.
Da una parte si assiste a una forte svalorizzazione dei prodotti banali con conseguente guerra dei prezzi e riduzione drastica dei margini, mentre dall’altra le grandi industrie cercano una forte integrazione nella filiera per dare valore alla loro proposta arrivando a gestire direttamente i rapporti con i top client.
Il dealer, in quanto distributore, risulta essere il principale anello di congiunzione tra produttori e mercato, assumendo, spesso inconsapevolmente, una posizione di rilievo all’interno della filiera e subendo talvolta le azioni sia dei grandi sia dei piccoli produttori.
Infatti il dealer che è, costantemente, a contatto sia con piccoli sia con grandi clienti, potrebbe essere in grado di raccogliere e addirittura anticipare quelli che sono i bisogni e le necessità del mercato da trasmettere a monte della filiera, ma rischia dal lato delle specialità di non avere potere contrattuale e da quello delle commodities di non poter più fare servizio per l’esiguità del margine. In realtà, oggi il dealer non è in grado di sfruttare la sua posizione, diventando, a volte, addirittura l’anello debole all’interno della catena. Subendo addirittura le pressioni sia dall’industria sia dal mercato e fungendo così da semplice ammortizzatore su cui “scaricare” le diseconomie.
In realtà il dealer dovrebbe diventare il partner territoriale dei grandi clienti e un punto di riferimento per i clienti sia per i prodotti sia per i servizi accessori.
Una possibile riflessione circa il ruolo del dealer, prendendo in esame le variabili esposte nella tabella 1, è la seguente:

  • che valore aggiunto può trovare il piccolo cliente nel dealer?

  • Quale partnership si può generare fra grande industria e dealer?

  • I produttori “artigiani” e le piccole industrie che producono commodities hanno bisogno del dealer?


La catena del valore: la supply chain


Partendo proprio da questa riflessione sulla posizione del dealer, si introduce il concetto di supply chain.
La supply chain – detta anche Catena del Valore - è uno strumento di marketing attraverso il quale il dealer può coordinare e mediare le attività e i rapporti all’interno della filiera con lo scopo di recuperare efficienza e di ridurre i costi.
Più esattamente la filosofia della Catena del Valore prevede che non si parli di “fornitore” o di “cliente” ma di “partner”. Per meglio dire: i diversi anelli che compongono la filiera devono collaborare affinché si abbia un aumento d’efficienza in termini di riduzione di stock dei magazzini, maggior efficienza produttiva, riduzione dei costi di trasporto e dei centri di distribuzione. Questo “modus operandi’’ ha come scopo principale la soddisfazione del cliente; infatti con l’aumento del livello di efficienza nella filiera, il risultato che, inevitabilmente, si ottiene è un aumento del livello di servizio al cliente.
L’applicazione di tale filosofia non risulta comunque essere priva di complicazioni.
Le criticità che si riscontrano sono fondamentalmente di due tipi:

  • esterne

  • interne.


La prima criticità include tutti i problemi culturali che si incontrano nel far collaborare le aziende appartenenti alla stessa filiera. L’ostacolo più difficile è sicuramente il superamento della diffidenza: si dovrebbe procedere, per esempio, alla raccolta e alla condivisione dei dati di ciascuno, per prevedere le vendite e i bisogni del mercato insieme ai punti vendita, per calcolare i fabbisogni di rifornimento (generazione ed evasione ordine) e – ultimo ma non per importanza – per trovare un linguaggio comune che semplifichi al massimo la comunicazione tra le parti.
Il livello di coinvolgimento di collaborazione può essere ovviamente diverso.
Per esempio il livello minimo prevede una condivisione esclusivamente di informazioni (disponibilità, forecast, piani produttivi, ecc.) mentre a livelli superiori si può avere uno scambio di know how, fino ad arrivare a previsioni e piani di sviluppo congiunti.
Alcuni esempi di collaborazione tra produttori e dealer sono l’organizzazione di corsi per i clienti, durante i quali si mostrano le problematiche che si possono riscontrare, e/o la manutenzione delle macchine. Fino a raggiungere un livello di collaborazione che prevede comitati congiunti o indici di performance condivisi dall’intera filiera.
Inutile sottolineare che maggiore è la collaborazione, maggiore è il livello di efficienza che si può ottenere dalla filiera. Tuttavia, maggiore è anche il grado di difficoltà che si riscontra nell’implementazione di tale tecnica.
La seconda criticità che si deve affrontare è, come già accennato, di carattere interno all’azienda stessa.
La tecnica della supply chain prevede, infatti, una forte convinzione nell’applicazione da parte della proprietà e del top management affinché si riesca a trasferire tale cultura a tutti i livelli aziendali. Infatti spesso l’applicazione di tale tecnica prevede forti cambiamenti, tra cui una riorganizzazione aziendale, passando da una struttura funzionale a una struttura per processi.
Questo significa che diventa necessario creare dei meccanismi di coordinamento, formare dei responsabili di processo e trovare degli indici di performance, non solo riguardanti ognuno la propria funzione ma anche relativi all’andamento complessivo dell’azienda (per esempio: fatturato, volumi di vendita, ecc.).
Strumenti di marketing, come la supply chain, necessari ad affrontare un mercato caratterizzato da continui e veloci cambiamenti, crisi economica globale e forte concorrenza, sono troppo spesso ritenuti, dagli operatori, strumenti “complicati” e poco adattabili alla propria realtà.
In particolare in Italia, dove il mercato è, prevalentemente, formato da aziende padronali e di piccole dimensioni, tali preconcetti sono ancora più difficilmente rimovibili.
La necessità quindi di cambiamenti culturali e organizzativi diventano fondamentali: contrariamente si rischia di generare una situazione di criticità dell’azienda o di non cogliere opportunità che potrebbero essere determinanti per il successo della propria attività.