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1983-2008: 25 anni di GDS

29 April 2008
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Lo scorso 7 febbraio abbiamo organizzato il convegno “25 anni di GDS” presso la nuova Mostra dell’edilizia Made di Fiera Milano.
Anziché pubblicare i lunghi atti, abbiamo preferito chiedere a uno dei suoi relatori, Paolo Montagnini, di parlarci della sua visione della GDS italiana.


Qual è il primo livello di standard qualitativo che un punto vendita deve raggiungere senza compromesso alcuno? Quello delle famose 3 P: pieno, prezzato e pulito. Bene: se dovessi estremizzare la sintesi dello stato dell’arte della GDS italiana dovrei dire che ci siamo quasi ma non ancora. Anzi in qualche caso si deve lavorare duramente, sebbene all’apparenza tutto si presenti al meglio. In diversi casi si banalizza, c’è disattenzione e incoerenza fra i diversi settori merceologici di un punto di vendita, non si cura la relazione con il cliente, mentre in diverse situazioni lo standard è elevato e all’apparenza complessivamente efficiente. Ma procediamo con ordine.
Di mestiere, facendo consulenza e attività di ricerca nell’ambito distributivo, mi occupo anche di progettazione e l’area che si occupa di progetti, dove lavorano dei colleghi molto più bravi del sottoscritto, realizza layout display che rispondono a una strategia di formato o di posizionamento. Ma chi scrive oggi non è, per così dire, vestito con i panni di un tecnico della distribuzione oppure in quelli del “conoscitore” del micro marketing distributivo o del merchandising, ma un cliente. Un cliente che avendo un minimo di necessità e forse di competenza cerca di comprendere e analizzare la situazione di vendita riscontrata, il front office, passando poi al “come mai succede questo” riflettendo sul “cosa” ci sia dietro che funziona in maniera più o meno eccellente: il back office.
Semplicemente vorrei capire come mai succedono alcune cose passando dal layout per arrivare ai fuori banco e al display. Pensando alle consegne e al servizio consultivo prestato dal punto di vendita.

L’antefatto


Lo scorso 7 febbraio GDS Europe, il testata del nostro gruppo editoriale dedicata ai centri bricolage e distribuita in tutta Europa ha organizzato, all’interno di Made, la nuova Fiera dell’edilizia di Fiera Milano, un Convegno sui 25 anni di presenza della GDS in Italia (1983-2008). É stata una bella occasione di confronto: peccato per alcune assenze, ma d’altronde gli assenti hanno sempre torto.
Nel corso della riunione ci siamo fatti carico del compito di focalizzare gli argomenti su alcune aree potenzialmente critiche attraverso qualche piccola provocazione a cui gli ospiti hanno risposto con puntualità e argomentando in maniera appassionata. É emersa forte la passione più per il mestiere che per il business in quanto tale e mi è parso un bel modo di affrontare il mercato.
La provocazione, peraltro blanda, si è sviluppata su sei punti principali:
  1. la capacità di sviluppo e presidio del mercato;

  2. la diversificazione del formato: dall’attrazione alla prossimità;

  3. la profilazione del cliente: i segmenti ben gestiti e quelli trascurati;

  4. nasce una nuova domanda e una nuova cultura oppure è una congiuntura favorevole?

  5. il punto vendita fra funzionalità e teatralizzazione;

  6. il servizio conteso fra competenza/soddisfazione del cliente e contenimento dei costi.

Pensando al cliente e alla relazione che nasce con quest’ultimo all’interno del punto vendita, sono i due ultimi punti quelli maggiormente pertinenti e come cliente provo a misurare la mia personale soddisfazione, provo a misurare, rifacendomi al buon vecchio Porter, se il valore offerto è pari al valore atteso e se soprattutto il valore offerto sia effettivamente percepito e percepibile. Perché spesso capita che le intenzioni siano buone ma i fatti meno.
Tutto questo con la precisa consapevolezza di non fare statistica, in alcun modo.

I punti contesi


Le argomentazioni portate nel convegno, partivano da una sorta di logica di impostazione dell’area di vendita segmentata su tre differenti livelli di relazione e rapporto con chi acquista e comunque tutti orientati all’erogazione di un servizio:
  • come funziona il negozio quando il cliente non ha bisogno di servizio per l’acquisto di prodotti d’uso corrente, banali o commodities? Dove conta, quindi, il libero servizio totale?

  • Quando, invece, lo scaffale e il display devono aiutarmi? Quando, per ciò che non è automaticamente auto esplicativo, il negozio deve diventare “parlante”? Come parlano i brand, i packaging, la comunicazione e i display prodotti? In questo caso si parla di ambientazioni e teatralizzazione, di fuori banco esplicativi, ecc.

  • Quando invece la vendita necessita di consulenza, cosa accade? Come siamo messi con il personale? Volonteroso, competente, disponibile, gentile, orientato al rapporto con il cliente o solo al rapporto con lo scaffale?

A riguardo di questi argomenti, nel corso del convegno, sono stati posti all’ordine del giorno i seguenti punti:
  1. dal “negozio tecnico” caratterizzato da una marcata profondità di gamma, al negozio “consumer” con gamme ampie.

  2. Dalla vendita consultiva a quella transazionale a libero servizio.

  3. Il punto vendita è a un bivio: se da un lato si rischia di perdere la valenza tecnica, dall’altro le ambientazioni e l’esperienzialità sono ancora poco gestite.

  4. Il negozio rischia di trovarsi in mezzo al guado: né esperienziale né funzionale.

  5. Il conto economico non regge il costo della consulenza che abbatte la produttività.

  6. Come fare per legittimare nel prezzo di vendita il valore della consulenza? Ma soprattutto come far percepire al cliente la consulenza stessa?

  7. Talvolta si registra la mancanza di un allineamento fra la gamma offerta e le competenze necessarie a supportare la vendita?

  8. Sarà possibile investire di più nel personale e dare valore al servizio?

I punti di vista dei relatori si sono rivelati concordi nell’affermare che molto è stato fatto e molto resta da fare: la tendenza è proprio quella di segmentare le gamme in base anche alla relazione che si desidera instaurare con chi acquista, fornendo un valore allineato alle caratteristiche del prodotto.
Ma poi che cosa succede all’interno den negozio?

La punta del trapano


Per quanto mi riguarda la scelta del punto vendita, in qualità di modesto cultore - meglio dire modestissimo cultore – di bricolage, dipende in parte dalla complessità e dalla varietà di articoli da acquistare.
La quantità di strada aumenta in relazione alla tipologia dell’articolo. Per due viti la prossimità, per un articolo tecnico o fuori standard la strada aumenta, anche di molto. Trovandomi a dover fare una scelta per me complessa ho selezionato il grande formato di una nota insegna.
Diciamo subito che l’acquisto “tecnico” è stato rimandato perché l’articolo “sarebbe arrivato, su ordine, di lì a qualche giorno” e procedo con i prodotti di routine.
Lo scaffale delle punte per trapano sembra la saga delle rotture di stock. Può capitare di arrivare in un negozio un’ora prima della consegna e circa due ore prima che il banco venga riassortito. Dovendo ritornare rimando l’acquisto.
La successiva settimana ritiro l’articolo “tecnico” e procedo con il resto. Il banco delle punte per trapano è nel frattempo peggiorato. Il capo settore dovrebbe farsi carico, se non altro, di quanto sia drammatico, per un qualsiasi ometto, tornare a casa e dire che non completerà il lavoro per la mancanza della punta del trapano. Nella remota ipotesi che litighi con la moglie, il punto vendita e l’insegna verranno immediatamente depennati. Altro che fedeltà. La fedele ferramenta di prossimità risolverà il problema (così è stato), ma le rotture di stock mi hanno incuriosito e girando con occhio critico e attento scopro una quantitativo di buchi elevato. Non mi chiedo se dipenda da un difetto di processo, superficialità e non curanza del personale, dal fornitore, oppure se dipenda dal controller che ha obbligato ad abbassare lo stock di merce. A tal proposito rilevo che l’eccesso di stock è oggettivo, mentre le mancate vendite hanno sempre un alibi.
La verità è che “niente prodotto” è uguale a “niente sell out” e che il fornitore va scelto in base anche alla capacità di supportare la supply chain.
I processi vanno messi a punto e il fornitore non può consegnare una punta di trapano per volta affinché lo stock rimanga basso. Non si può ragionare in termini di “priorità di stock ” basso e insisto perché, verificando il problema su più insegne e in formati diversi, il problema emerge con una certa frequenza e il cliente rischia di tornare a casa a mani vuote più spesso per le rotture di stock che per la presenza di una limitata profondità o ampiezza di gamma.

La teatralizzazione


Mi piace un certo negozio di una certa insegna, anche perché è comodo e mixa correttamente - per quanto mi riguarda - tempi di percorrenza, qualità e quantità dell’offerta.
Nell’esposizione vedo dei mobili interessanti, grezzi, da lavorare, ma all’apparenza ben fatti. Chiedo di poterne vedere uno e l’addetta mi da delle misure dapprima indicative e poi - guardando sulla scatola - più precise. All’apparenza tutto bene: se non che il mobile è esposto a cinque metri di altezza e io non sono un pettirosso e non riesco a volare per vederlo. Le scatole per la “presa” di prodotto sono a terra, nei ripiani bassi dello scaffale, il prodotto e anche tutti i suoi “fratelli” ci guardano invece tutti dall’alto. L’unico pezzo montato è irraggiungibile. Una modalità di vendita sicuramente comoda, soprattutto per il punto vendita. I vecchi merchandiser dicevano “prodotto toccato mezzo comprato”. Già. Ma dovrò tornare poiché prima dell’eventuale acquisto mi piacerebbe capire alcuni particolari e toccare con mano il prodotto, visto che, al momento, di abbassare il mobile non se ne parla.
Nell’area di vendita ci deve essere anche una sorta di capoarea/supervisore. Da quel gran curioso che sono, seguo con apparente indifferenza e a distanza i suoi movimenti e provo ad analizzare tecnicamente ciò che vedo e ciò che vede lui. La prossima settimana, penso fra me e me, tutto sarà a posto. E invece dopo una settimana i prodotti ingombranti sono sempre sulle alture e poco del resto è cambiato: si vede che la “macchina” funziona bene. La regola dei mobili ingombranti è che stiano in alto perché ovviamente a portata di mano c’è la scatola. La priorità è data alla logistica e non al comportamento d’acquisto del consumatore. Ma mi chiedo quale donna comprerà mai quei mobili senza che abbia la possibilità di aprire almeno ante e cassetti per una ventina di volte? Mi chiedo quanto tempo perdano gli addetti alle vendite per poter dare informazioni banali e senza poter soddisfare i loro clienti.

Servizi promessi


Fra le “provocazioni” del convegno una piccola parte faceva riferimento ai servizi prestati. Il valore aggiunto che il personale e il negozio riescono a dare al prodotto, sia in pre vendita sia in post vendita (e anche durante la vendita stessa), si definisce, come tutti sanno, anche banalizzando, “servizio”. Quest’ultimo è conteso fra competenza del personale e costi associati alla formazione, soddisfazione risultante del cliente e contenimento dei costi di produzione del servizio stesso. Siamo al massimo risultato con il minimo sforzo stesso e a riguardo è possibile affermare che:
  • nel negozio specializzato il cliente chiede sempre più spesso servizi e competenza;

  • i costi del personale, i costi di formazione e l’elevato turnover delle risorse umane orientano le scelte e i risultati non sono sempre nella giusta direzione;

  • si registrano nei punti vendita altre priorità e non sempre è facile mantenere lo standard di offerta di base del “pieno, prezzato e pulito”;

  • l’orientamento dei formati fra esperienziale, funzionale e consultivo è in via di definizione, ma le soluzioni offerte non sempre sono chiare al mercato e poco comprensibili e fruibili all’interno dell’area di vendita;

  • il rapporto con il consumatore non è delineato: difficile stabilire se il punto di vendita sia solo fornitore oppure anche consulente e perfino partner;

  • non solo profondità di gamma: investire nelle risorse umane e quindi nella relazione con il consumatore e nella partnership con il fornitore, che può aiutare a erogare servizi. Incrementare la collaborazione con i marchi più strutturati e sensibili a queste problematiche potrebbe aiutare.


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